16 gennaio 2013

Controllo (e consapevolezza)

Da qualche anno (pochi, per la verità) ho imparato ad andare sullo snowboard. Sicuramente è stata una svolta nella mia vita sportiva, anche perché ha portato una quantità considerevole di nuovi stimoli, che come di consueto, si sono espansi ben oltre il loro originario ecosistema.

Una delle parole ricorrenti, imparando ad andare con la tavola, è "controllo".

La pista ha una sua inclinazione, una sua direzione. Dove siano l'alto e il basso è sempre determinabile (anche se non sempre univocamente).
Il controllo di cui si parla è il controllo sulla tavola, che è uno strumento "stupido" e scarsamente domabile.

La tavola non va in salita. Punto. Sì, si può saltellare per un po', ma poi lei scivola...nella direzione della discesa. O quasi.
La tavola non permette di sporgersi "avanti", a valle.
Significa cadere. Punto.
Niente repentini cambi di rotta, inerzia, ritardo fra azione e reazione, reazioni diverse al cambio della neve, scarsa presa sul ghiaccio (i lividi lo dimostrano bene!!).
La tavola conosce solo il baricentro e la lamina sulla neve.

Cosa diavolo è il controllo? Non si va in salita, non ci si può "sbilanciare", non si possono fare molte altre cose...
Il controllo è riuscire a dominare lo strumento nei limiti dello strumento. Magari anche forzandoli un po', ma mai annullandoli.
Si può andare veloci o piano, curvare, saltare, frenare, invertire ciò che è naturalmente avanti con ciò che è naturalmente indietro. Ma sempre in discesa e in equilibrio. Quasi.

Questo è il controllo anche nella vita.
La vita scorre (dall'alto in basso), si basa su equilibri e su regole (a volte condivise a volte individuali).
Controllarla non significa negare questi concetti. Non può significarlo.
Non possiamo invertire il tempo, non possiamo fare scelte "impossibili" (cioè, farle sì, aspettarci che funzionino è ben altra cosa). Possiamo forzare i limiti e rompere, per brevi momenti, alcune regole generali, forti di eccezioni particolari.

É così nella vita lavorativa, in quella sociale, in quella intellettuale, in quella sentimentale.
Soprassiedo sulle prime 2, che hanno sfumature troppo complicate e, paradossalmente, "soggettive".

Per la vita intellettuale, non possiamo pensare (o meglio applicare) pensieri non nostri. Possiamo scegliere assiomi per noi "falsi" e costruirci sopra un modello, possiamo pensarlo, ma poi non possiamo viverlo, perché gli assiomi nostri non collimano e il modello non sta in piedi: possiamo saltellare in alto, per un po', ma poi la pista scende in un'altra direzione.
Possiamo però indirizzare i nostri pensieri seguendo il flusso dei nostri valori (in questo caso sino a modificarli, lentamente). Possiamo frenare, curvare, fare piccoli salti, giochetti intellettuali nel nostro percorso (che a me vengono sicuramente meglio di quanto non mi vengano sulla tavola i vari trick in pista), possiamo uscire dagli schemi (che figata i "fuori pista" della ragione!!).

Con i sentimenti non è diverso. Forse più estremo.
Non possiamo odiare chi amiamo, né ignorarlo (non a lungo...i saltini in salita si possono sempre fare!). Oltre certi limiti cadiamo. E ci rompiamo. In mille frammenti.
Possiamo dirigere i nostri sentimenti verso forme più piacevoli, possiamo rallentare e lasciar fluire, o andare giù dritti ("Metto al tavola giù dritta e curvo solo dove curva la pista" come diceva Mauro), forse qualche fuori pista e qualche trick in pista (o meglio ancora in freestyle...ma "non conta quanto uno sia capace di andare bene in frista se ha la testa piena d'acqua fresca: chi pantomimo era pantomimo resta"...la citazione fuori contesto che sembra non c'entrare un cazzo, ma dice tutto!), non possiamo fare di più.

Il controllo è, almeno in qualche misura, una necessità. Senza siamo foglioline trascinate dal vento, quando va bene. Con il culo dolorosamente per terra, il resto del tempo.
La mania del controllo, la sua ossessione, ha un senso solo sin dove è ben chiaro che stiamo scendendo da una nera: una cazzata e si è per terra, una "eccesso" e il controllo invece che averlo si perde del tutto.

Questo non vuol dire non girare, non regolare la velocità, anzi!!, ma abbandonare i sogni di onnipotenza divina e accettare le regole del gioco.
In quel momento, durante quella svolta mentale che ci dà consapevolezza, si assume il controllo, quello vero.

Conoscere e accettare le regole.
E Dominarle.


P.S.: "Controllo" non è un termine ricorrente solo con la tavola, ovviamente, però la sua accezione cambia molto a seconda che si parli di sport "individuali" o di confronto diretto. Anche fuori dallo sport è un termine ricorrente in molte attività umane. Curiosamente mi viene in mente un parallelismo riguardante il controllo fra gli scacchi e l'Aikido, apparentemente così distanti, che invece non mi viene fra l'Aikido e il Judo. Ma questo, forse, sarà il tema di una riflessione futura....o forse no.

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