Alcuni mesi fa ho portato a casa delle "scaloppe vegane", se ricordo correttamente il nome.
Parlare di "scaloppe" richiama alla mia mente il concetto di fettine di vitello, tipicamente infarinate e cotte in padella, come a me così anche ad altri, suppongo.
Vegano implica l'assenza di carne, ovviamente. Si trattava di seitan, se ricordo correttamente, ovviamente non solo...c'erano altri ingredienti..
Ora io trovo questa comunicazione, "scaloppe vegane", per del seitan lavorato con la forma della scaloppina, forse corretta, sicuramente forviante.
Da un punto di vista dell'esperienza poi, non c'è nulla da fare: il nome e la forma ricordano la scaloppa, la bocca si prepara per quello...che però non corrisponde affatto a quello che ottiene, nè in termini di consistenza, nè in termini di sapore.
Nulla di male, ovviamente: il seitan non è una mucca, non si capisce perché dovrebbe averne consistenza e sapore. Il problema nasce dal nome "scaloppa".
Ne ho parlato con un amico vegano, che non condivide la mia posizione. Non c'è voluto molto per prendere la strada della polemica e dell'assurdo iperbolico e questo mi ha portato a riflettere, ancora una volta, sulla comunicazione.
La comunicazione può essere corretta o efficace; potrebbe anche essere entrambe, ma nessuno dei due implica l'altro.
Corretta significa sostanzialmente che ciò che è stato comunicato corrisponde a ciò che si voleva comunicare secondo i significati stabiliti delle parole e le regole sintattiche della lingua (sì, si può essere corretti solo formalmente, cioè rispettare le regole della lingua, ma non esprimere il concetto desiderato, ma...è un'altra storia, un'altra pippa e comunque fuori tema). La correttezza è un concetto fortemente razionale, quasi scientifico, perché tratta di aderenza a delle regole (ben?) definite e segue un rigoroso processo di confutabilità.
Efficace significa che ha fatto capire all'interlocutore ciò che intendeva comunicargli. Non ha nulla a che vedere con la forma, quindi, non è neppure strettamente razionale, laddove il concetto da comunicare non sia solamente razionale e non è confutabile formalmente: qualunque analisi della comunicazione non può dimostrarne l'efficacia, solo l'analisi dei suoi risultati può misurarne il grado di efficacia. Siamo nel territorio dell'empirico.
Chi non conosce gli obiettivi di chi parla, non può valutare nè la correttezza nè l'efficacia di una comunicazione, nel senso che può verificarne solo al correttezza formale, ma non l'aderenza al concetto che l'autore intendeva esprimere, nè la sua efficacia, che dipende strettamente dal risultato che si voleva ottenere.
Si possono fare delle supposizioni, nulla più.
Se "scaloppa vegana" voleva dire che è un prodotto senza carne con la forma tipica della scaloppa e metodi di cottura simili, la comunicazione è parzialmente corretta (molti vocabolari citano il vitello come unica possibile fonte di scaloppe, non si sa se per comodità o è parte della definizione, tutti parlano di carne), ma piuttosto efficace. In effetti, a parte che non so quanta gente sappia cosa significa "vegano", credo sia sostanzialmente comprensibile ai più (non mi addentro qui nella fuzzificazione della funzione dell'efficacia rispetto alla percentuale degli interlocutori che hanno recepito il messaggio, il senso non cambia, la funzione sarebbe arbitraria e probabilmente differente di situazione in situazione).
Se voleva invece suggerire, oltre alla forma, una consistenza e un sapore, la correttezza è diminuita, e l'efficacia è tracollata: consistenza e sapore non sono neppure vagamente paragonabili.
L'efficacia dipende inevitabilmente anche dal target della comunicazione. Se da un lato è evidente che il target è genericamente l'acquirente del negozio (totalmente generico quindi, visto che nello specifico ero in un minimarket come mille altri, dove passa umanità molto varia sotto qualunque parametro), dall'altro è anche evidente che ci si rivolge al consumatore interessato, al potenziale cliente, e a chi passa lì per caso in contemporanea, ma con 3 risultati ed efficace diverse e probabilmente 3 intenti comunicativi diversi.
Al vegano (e vegetariano in genere), la frase scaloppa vegana dice che è un prodotto privo di fonti animali, tagliato a forma di scaloppina, cosa interessante, forse, ma assolutamente inutile: fossero stati esagoni componibili a nido d'ape non avrebbe cambiato nulla.
Al simpatizzante, il fatto che abbia la forma della scaloppina probabilmente serve a dargli dei riferimenti gastronomici, senza perdere in correttezza: gli consiglia in modo diretto e sintetico in che fase di una cena collocarla e come cucinarla. La forma di scaloppa lo aiuta a non pensare che il prodotto in questione non ha nessun rapporto col suo canonico universo alimentare, ma probabilmente il fatto che un impasto lavorato a cui si può dare qualunque forma abbia quella della scaloppa piuttosto che del birillo del bowling o del dodecaedro regolare non gli cambia molto...però preferisce la forma a scaloppa. Il fatto che poi le sue papille gustative possano subire uno shock sentendo cosa ha veramente in bocca è un problema successivo...
L'acquirente inconsapevole potrebbe essere tratto in inganno dal termine scaloppa, non sapere cosa significa vegano (eh sì, 1% della popolazione non è molto...abbastanza per averlo sentito, poco per sapere sicuramente cosa significa) o peggio ancora fraintenderlo. A questo punto la parola scaloppa fa la magia e lui compra, se poi il produttore è fortunato, piacerà anche. In questo caso è fondamentale che il prodotto abbia la forma della scaloppa e non quello di un tetraedro, altrimenti l'incanto scompare già sullo scaffale.
Se l'obiettivo era quello della comunicazione orientata alla vendita, ecco fatta la scomposizione. Se era quella di fare interessare al prodotto, il fatto di rimandare la mente del consumatore a un prodotto della stessa forma senza nessuna altra analogia lo mette inevitabilmente nella condizione di avere delle aspettative, magari solo inconsce, che poi verranno disattese. Effetto boomerang di ogni vendita fatta mediante meccanismi poco limpidi.
Io credo che la comunicazione al giorno d'oggi, abbia molto poco a cuore la correttezza e punti solo all'efficacia. Credo inoltre che quasi ogni comunicazione abbia uno o più obiettivi principali coesistenti e una serie arbitraria di obiettivi secondari.
I primi sono per lo più esplicitati o messi in evidenza, gli altri sono spesso degli spunti che arricchiscono la comunicazione.
A volte però il concetto messo in evidenza in una comunicazione non è altro che uno specchietto per le allodole, che serve cioè a poter fare la comunicazione, a poter avere un argomento comodo di cui parlare, quando in realtà gli obiettivi principali sono nascosti fra le righe, magari non troppo in profondità, in modo che raggiungano quasi tutti, ma non espliciti, per evitare censure o di essere semplicemente smascherati (sputtanati) pubblicamente.
Grillo, per esempio, fa così. Molta comunicazione populista fa così. Parla di quello che la gente vuole sentire, così raggiunge, ma dice cose che vuole far pensare alla gente, inserendole a latere o tagliando il punto di vista in modo che i significati espliciti siano revisionati nel testo in modo sistematico.
Non è questo il caso, certo, e non lo voglio insinuare.
Qui credo che se ci fosse stata correttezza avrebbero venduto dei "seitan scaloppato", ma la dicitura volutamente ambigua aiuta a vendere un pelo di più, e al di là del tempo di crisi....come dargli torto?
Mi chiedo se nel medio o nel lungo ne avranno dei benefici...e se ne avrà il movimento vegano, posto che a loro stessi interessi.
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