27 maggio 2013
Hushpuppy ed il cambiamento.
"l'universo è fatto di tante piccole e fragili parti in equilibrio fra di loro", o qualcosa di simile, recita Hushpuppy, bambina protagonista di 'Re della terra selvaggia' (traduzione discutibile di Beasts of the Southern Wild). E poi ancora "basta che una di queste parti si danneggi per far crollare tutto l'universo".
Visione affascinante, forse, del mondo. Oltretutto, per quanto riferita principalmente al mondo esteriore, è estensibile a piacimento verso il mondo interiore, a cui del resto accenna.
Per certi versi è rassicurante, perché ammette un equilibrio "sostenibile" e pone l'accento sull'averne cura. Per altri versi è allarmante, perché la fragilità comporta una continua attenzione.
Io sinceramente vedo il mondo da tutta un'altra prospettiva, quindi dissento profondamente da questa visione del mondo e non mi ci è voluto neppure tanto per razionalizzare da dove mi uscisse questo senso di fastidio e di distacco.
Hushpuppy vede il suo mondo minacciato dal cambiamento, fisico e sociale. La convinzione alla base è che questo cambiamento porterà a dei disastri, ecologici in primo luogo, ma con impatti e ripercussioni su tutto e tutti.
Lo spirito ecologista del film è strano, a causa dei toni sicuramente molto originali, che lo mascherano e lo mettono in risalto insieme; lo sostengono o lo mettono in discussione. Il film è un originale film di formazione che racconta il passaggio di questa bambina particolare, nel mondo degli adulti. L'assunzione di responsabilità e consapevolezza, la sconfitta delle paure infantili in favore di un coraggio adulto, con cui affrontare la vita. Consiglio assolutamente il film, per la sua originalità, la sua poetica, la sua dolcezza, alcune sferzate al mondo "normale".... ma non posso non dissentire da molte delle tesi di fondo.
Credere in un equilibrio di base immodificabile se non a costo dell'apocalisse, significa essere, nel profondo, conservatori di uno status esistente quanto arbitrario.
Arbitrario, sì, perché non è "originario", detto che l'equilibrio originario esiste per sua definizione solo in una concezione creazionista del mondo, ma è semplicemente quello attuale (nel film) se non di una qualunque epoca passata a cui molti conservatori tendono, idealizzando ciò che fu per il mero fatto di essere stato senza averci portati all'apocalisse.
Credere che girare una rotellina di un ingranaggio potrebbe distruggere l'intero meccanismo, non è in sé sbagliato ed in alcuni casi può anche essere vero. Sicuramente prenderlo a martellate non aiuta. Ma questo significa solo che le modifiche possono essere deleterie, quindi farle a casaccio potrebbe non essere fra le scelte più sicure.
Non ammettere la possibilità di modificare l'attuale significa arrogarsi il diritto di decretare che si è raggiunto il mondo migliore possibile, o almeno che lo sforzo evolutivo non vale il risultato ottenibile. Sottende, oltretutto, che la situazione contingente sia perpetrabile in eterno.
Io leggo il mondo in modo molto diverso, in chiave dialettica: non c'è nessun equilibrio stabile e ideale, ma una continua evoluzione, in cui determinate pulsioni fanno da contraltare altre pulsioni preesistenti e ne costituiscono l'antitesi, sin dove le due forze non raggiungono una sintesi dei loro elementi caratterizzanti, che è sia l'inizio di un nuovo ondeggiare, che parte di altre pulsioni (tesi) e reazioni (antitesi) che già erano in contrapposizione prima. In parte sembra un tiro alla fune fra forze contrapposte, ma soprattutto è l'alternarsi storico di tentativi, esagerazioni, passi indietro, nuovi tentativi...un continuo cambiamento che parte da dove siamo e ci porta in un posto nuovo, non sempre migliore, ma parte di una evoluzione a cui tendiamo. Anche un minimo locale serve, in questo processo, per dare una spinta in altra direzione con la giusta forza.
Il mondo è fatto di onde continue e di infinite armoniche. Il loro ritmo non è necessariamente regolare, ed è spesso perturbato da sovrapposizioni inattese. Il gesto di "rompere" alcuni pezzi del mondo è un effetto collaterale del farlo progredire se non addirittura lo strumento grazie al quale sorpassiamo uno status quo e riusciamo a lasciarcelo alle spalle.
Non c'è vita che valga la pena di essere vissuta senza evoluzione: c'è solo sopravvivenza.
Uscendo dal sociale ed entrando nell'individuale, mi pare evidente l'importanza e la bellezza dell'evoluzione ed il suo moto dialettico.
Forse è poi così evidente, però. Del resto molti rimpiangono l'infanzia o l'adolescenza, cose se esistesse quell'età dell'oro a cui voler tornare e da dover conservare all'infinito.
Questa non è la mia visione del mondo. Non è la mia morale.
Questa mia visione è opinabile tanto quanto l'altra. Quello che emerge è il filo sottile che le rende internamente consistenti, ma delinea anche la divergenza e inconciliabilità fra queste posizioni.
E qui, come nel film, parlo del'universo, del mondo esteriore e anche del mondo interiore. Del fisico e del metafisico. Di quello strano mischione poco comprensibile che è la vita....
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