12 giugno 2013

Lo slogan è (un po') fascista di natura?

Silvestri era più convinto nel cantarlo. Io un po' meno. Lui ne ha fatto uno slogan, dandosi (apparentemente) del fascista da solo.
Io ne faccio un dubbio, facendo di me...il solito uomo con molte domande e poche risposte, ma per fortuna alcune linee guida solide e profondamente ancorate.

Sabato sono andato a un concerto in favore del movimento di evoluzione/rivoluzione sociale equadoregno. Suonavano i The Gang, gli Assalti Frontali e la Banda Bassotti.
Il primo gruppo non l'ho mai degnato di grande attenzione neppure negli anni 90, quando ero più vicino a certe "manifestazioni" musical/politiche e loro avevano una risonanza ben maggiore, e ne ricordo una sola canzone.
Gli Assalti Frontali hanno contribuito con quel gran capolavoro che è Conflitto (anche questa volta dimenticato dal vivo), prima e con quell'altro gran disco che è stato Banditi ad avvicinarmi all'hip-hop e a farmi riflettere su tante cose. Non a caso Conflitto ha il suo elemento di maggiore bellezza nell'essere un disco con molte domande, molti dubbi, molto disagio, poche risposte, ma delle certezze salde e della altrettanto salde linee guida.
La Banda Bassotti è...uno slogan via l'altro: orgoglio e appartenenza. Orgoglio per l'appartenenza. Appartenenza a una idea e ad una non idea: all'idea di una società "comunista" ed all'idea dell'antifascismo come elemento di unione e coesione. Appartenenza alla lotta. Appartenenza a una collettività che costituisce un mondo alternativo. Appartenenza all'odio contro un diverso che non può che essere odiato.

Del fatto che io non sia disposto a definirmi tramite una negazione ho già parlato secoli fa, quando ancora scrivevo sul defunto yahoo 360 (rip), non ha senso parlarne ancore e sarebbe comunque un'altra storia.

Devo dire che quella fila quasi infinita di slogan mi ha fatto molto piacere. Era da tanto che non sentivo un senso di appartenenza, anche a causa dell'essere diventato sostanzialmente un orfano politico, da vari anni ormai. Era tanto che mi sembrava che quell'identità non esistesse più. Sentirla urlata e ripetuta, elevata a slogan dal palco e rimbalzata dal pubblico, mi ha dato una certa gioia.

Con tutto questo è vero che probabilmente molti nel pubblico non sapevano bene di cosa si parlasse...e forse anche qualcuno sul palco marciava più sullo slogan come elemento di cieca aggregazione che che come portatore di contenuto.

Slogan usati per fare branco, per appiattire il dialogo, per semplificare oltre la barriera in cui le differenze sono ancora significative.
Ma è uno slogan appunto. Ne è la natura. Questa natura è fascista? Un po'. In generale è molto di destra, nella sua idea che esista un noi (quelli raccolti nello slogan) e un loro esterni a noi (quelli contro cui è rivolto lo slogan), eterni e immutabili. Non punti di vista, ma realtà assolute.
Cioè "il male" descritto come assoluto e non dipendente dal punto di vista, costante ed estraneo a noi come lo descrive spesso la destra e lo descrive bene Antonio Caronia.
Lo dico subito per evitare incomprensioni, la Banda Bassotti questo non lo fa: più esplicitamente partigiana e schierata di così è difficile anche solo concepirla.

Detto questo, però, lo slogan può essere anche una semplificazione che unisce, laddove è chiaro che la verità non si ferma a quelle poche parole. Il fatto che sia un titolo, non implica che poi non si debba leggere il testo a seguire.
Se il titolo è accattivante si prova più facilmente lo stimolo ad approfondire. Se diamo per assunto che tutti quelli che ascoltano lo slogan conoscano il contesto che lo partorisce ed abbiano una condivisione di fondo, non tanto dello slogan in sè, ma di tutto il contesto di cui lo slogan è sintesi, allora si perde quel connotato "fascista" (che fascista, diciamolo pure, comunque non sarebbe, ma in Italia sembra che qualunque idea conservatrice o di destra si debba definire fascista...).

La verità, credo, sta sempre da qualche parte nel mezzo. C'è chi lo urla come coro senza sapere cosa dice e chi semplicemente festeggia la sua appartenenza con delle semplificazioni, dando per scontato, almeno in quell'occasione, tutto il contesto.

La deriva fascista di uno slogan antifascista è allo stesso tempo paradossale e tragica, eppure parzialmente inevitabile.
Compito di ciascuna persona che quello slogan lo urla, ma con consapevolezza, è diffondere il contenuto completo di cui lo slogan è sintesi. Parlare della lotta che c'è dietro. Del motivo di quell'urlo. Del suo obiettivo.

Nel nostro piccolo è d'obbligo non tagliare sulla cultura e l'educazione.

Ogni volta che un ragazzino canta, senza riflettere, che "l'unico fascista buono è il fascista morto" è mio dovere spiegargli che se non capisce nel profondo cosa significa e che è un'esasperazione e una generalizzazione utile solo all'aggregazione e non certo un inno allo sterminio di chi la pensa in modo diverso e assoluto, allora cantandolo sta solo descrivendo il suo suicidio come una cosa buona...allo stesso modo in cui Silvestri si è apparentemente dato del fascista da solo.

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