7 ottobre 2013

Specchi

Se vado sott'acqua non respiro e dopo un po' muoio.
Se lo fai tu...anche (ammesso che tu non sia il primo pesce che legge il mio blog).
Questo lo so: so che questa mia caratteristica è condivisa dalle altre persone.

Se mi prendi a pugni mi fai male.
Se ti prendono a pugni, ti faccio male. Spesso. Ci sono dei masochisti che apprezzano il dolore.
Questo lo so: so che questa mia caratteristica (il provare dolore per delle percosse) è comune fra le persone. Abbastanza comune da poterla dare per scontata, non senza qualche probabilità d'errore.

Spostandomi dal mondo "fisico" a quello interiore so che esiste la paura del diverso e che, in misura differente, ne siamo tutti soggetti. Dove tutti è ovviamente una generalizzazione.
Esiste la paura della solitudine. Esiste la paura della privazione. Esiste la ricerca della felicità.

Abbiamo tanti tratti comuni.
Ma non tutti, solo la maggioranza di noi. Una maggioranza abbastanza diffusa da poterla considerare, statisticamente, la totalità. Una maggioranza, oltretutto, marginalmente diversa per ciascun singolo tratto.

Non tutto è così. Abbiamo fedi diverse, orientamenti politici diversi, molti valori di base diversi.
Abbiamo anche processi interiori diversi. Forse proprio su questi casca l'asino.

Il problema è che mentre il mondo esteriore lo esploriamo anche nostro malgrado (vediamo cioè che tutti gli uomini non hanno le branchie e sott'acqua tendono a soffocare), quello interiore è opaco.
Il nostro lo conosciamo (ecco, già questa è una generalizzazione grossa...diciamo che chi si esplora lo conosce, i più non hanno nessuna idea di chi siano, né hanno mai raccolto alcun indizio che lo suggerisca), l'altrui meno.
C'è la questione dell'esplorarlo senza che il "proprietario" ci inviti ad entrare, che è sia difficile che a volte pericoloso (a me piace un sacco farlo...), come la questione della fiducia quando invece ci viene raccontato dal diretto interessato (dove si ferma il racconto? Quante omissioni? Quante mezze verità o complete bugie?).

Mancando la conoscenza diretta, la riprova statistica e addirittura la possibilità di aperto confronto, riflettiamo.
Non nel senso che "pensiamo", ma proprio nel senso che proiettiamo sugli altri il riflesso del nostro "io", dando per scontato che l'altro di fronte a noi abbia delle caratteristiche simili e soprattutto dei processi interiori simili. Gli altri fanno così con noi e diventiamo specchi dell'io altrui, per ciascuno diverso: riflettiamo un'immagine per ciascun osservatore, l'immagine dell'osservatore stesso.
Questo ci porta a non vedere chi abbiamo di fronte, ma la nostra immagine specchiata che maschera l'interlocutore. Crediamo di capire prima di avere osservato, perché proiettiamo il nostro pensiero sugli altri e li consideriamo nostre immagini speculari.
Sempre con un po' di buon senso, certo: evitiamo di rifletterci in persone palesemente diverse. Ma non tanto buon senso, in fin dei conti: diamo per scontate cose che non lo sono affatto, e lo facciamo sistematicamente.
A volte poi consideriamo diverse persone che lo sono solo esteriormente, ma ci sono molto simili interiormente...ma questo è un altro discorso, che sfocia in altri mille discorsi (non ultimo il razzismo), che non è il caso di trattare qui.

Io sono, di natura, molto portato all'introspezione e, come scrivevo sopra, molto propenso a non farmi i cazzi miei, a guardare dietro la maschera delle persone, a scrutarne le idee e i processi mentali che portano dalla loro parte dogmatica alle idee concrete.
Questo non mi esime dal "riflettere", riduce solo drasticamente la base di elementi che do erroneamente per scontati. Il rovescio della medaglia è che scruto in angoli più nascosti, mi avvicino spesso ai miei limiti, dove ho le stesse probabilità d'errore di tutti.

Il pericolo maggiore, credo, è quello di scrutare attentamente se stessi e dimenticarsi di farlo con gli altri. Si arriva così a una profonda conoscenza di sé e congiuntamente alla totale ignoranza degli altri, fatto che paradossalmente limita molto l'autocoscienza, perché solo inserendoci in un contesto e capendo il limiti intrinsechi da esso stabiliti possiamo correttamente leggere il nostro io.
Risultato: il mondo diventa apparentemente uno specchio del nostro ego, ma in realtà ci è totalmente precluso, dagli specchi che noi stessi ci siamo messi attorno.

Paradossalmente proprio in un'epoca basata sull'immagine bisogna imparare ad osservare veramente e dare meno per scontate le persone. Soprattutto quelle speciali.

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